L’arca di Noè

Libro della Genesi 6:5-16

Leggiamo da Genesi, capitolo 4 i versetti da 1 a 8.
Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: «Ho acquistato un uomo con l’aiuto del SIGNORE». Poi partorì ancora Abele, fratello di lui. Abele fu pastore di pecore; Caino lavoratore della terra. Avvenne, dopo qualche tempo, che Caino fece un’offerta di frutti della terra al SIGNORE. Abele offrì anch’egli dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. Il SIGNORE guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, e il suo viso era abbattuto. Il SIGNORE disse a Caino: «Perché sei irritato? e perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!» Un giorno Caino parlava con suo fratello Abele e, trovandosi nei campi, Caino si avventò contro Abele, suo fratello, e l’uccise.

Due persone fanno la stessa cosa; una arriva e viene notata, l’altra viene rifiutata, fallisce e non sa perché! Caino fallisce. Abele viene accettato. Entrambi vogliono stessa cosa: dire grazie a Dio con un’offerta, renderlo felice. Sperano in una benedizione. Ma è Dio stesso che rovina questo momento: accetta il dono di Abele, non quello di Caino.

Qualcuno può vedere in questo una ingiustizia di Dio. La storia di Caino è interessante perché ci parla della vita, anche della nostra vita. Quante volte ho sentito persone che si fanno domande sulla vita e spesso si chiede ragione a Dio delle cose che succedono. Perché proprio a me una malattia incurabile? Perché un incidente stradale ha tolto la vita proprio ad un mio congiunto? Perché un bimbo deve nascere e vivere in circostanze difficili? E perché spesso piove sul bagnato e si ha l’impressione che la vita è molto facile per alcuni e molto più difficile per altri?

La vita è ingiusta si dice! Ma poi le nostre accuse si alzano fino al cielo: Dio è ingiusto! Questi sentimenti sono ancora più forti ed evidenti quando ci confrontiamo con gli altri. C’è sempre qualcuno che è più benedetto di me. Perché l’altro guadagna più di me? Perché il mio matrimonio è un fallimento e invece c’è chi ha un matrimonio riuscito e dei figli perfetti? Perché nonostante le molte preghiere il mio male non guarisce, mentre il mio vicino, che non prega mai, è guarito facilmente?

Sono domande che ci portano alla depressione e a vivere un rancore verso gli altri, che sono benedetti e poi verso Dio, che non mi benedice per nulla. Dio ha sempre bloccato coloro che nella bibbia lo accusavano di non essersi comportato come volevano loro. Così risponde alle lamentele di Giobbe chiedendogli “Dev’eri tu quando io fondavo la terra? Dillo se hai intelligenza.”  Anche Giona rimproverava Dio perché voleva salvare Ninive, una città piena di peccato e anche qui Dio lo riprende chiedendogli se la sua ira era giustificata. Quando Pietro si interessa della sorte di Giovanni e chiede a Gesù “…e di lui che ne sarà”, Gesù gli risponde “a te cosa ti importa!”

Gesù, come Dio, rivendica il Suo diritto ad agire secondo i Suoi disegni, e non di assecondare i disegni degli uomini e la loro giustizia. Così anche le preghiere di Paolo non vengono esaudite e a lui Dio dice “La mia grazia ti basta”. Comprendiamo quindi che Lui è il Signore e noi dobbiamo accontentarci di quello che ci dà. La grazia è un grande dono e dobbiamo apprezzarlo.

Qualche teologo ha provato a spiegare perché Dio ha apprezzato il dono di Abele e non quello di Caino. Qualcuno ritiene che il dono di Abele comporti spargimento di sangue e quindi ha più valore per la salvezza. Altri partono dalle differenti professioni. Caino è agricoltore, Abele un pastore. Tuttavia, resto sempre deluso, quando si cerca di trovare un valore maggiore in un dono piuttosto che nell’altro.

Leggiamo dalla lettera agli Ebrei, capitolo 11, versetto 4.
Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo di essa [la fede] gli fu resa testimonianza che egli era giusto, quando Dio attestò di gradire le sue offerte; e per mezzo di essa [la fede], benché morto, egli parla ancora.

Comprendo allora che non è il dono che fa la differenza, ma piuttosto la qualità della fede. Dio guarda nel cuore e vede che la fede di Abele è più sincera di quella di Caino. Al tempo della Genesi, la fede possiamo intenderla come gratitudine per la salvezza promessa da Dio. Nel capitolo 3 di Genesi, Dio afferma che la progenie di Adamo avrebbe schiacciato il capo al serpente. Questa era la prima promessa di Dio per una liberazione dal peccato che era entrato nel mondo.

Dio ha visto in Abele questo tipo di fede, che viene da un cuore aperto, che non fa calcoli e non pretende nulla, ma vuole solo ringraziare Dio per la salvezza promessa. C’era però anche un altro tipo di fede, quella di Caino, che vede il dono a Dio come un mezzo per ottenere la salvezza; un modo per farsi benedire e per ottenere da Dio qualcosa in cambio.

Anche noi oggi sperimentiamo questi due modi di avere fede. La fede di chi si ritiene salvato per grazia di Dio e non per i meriti che possiamo vantare davanti a Lui, e la fede di chi ritiene di meritare qualcosa da Dio, per le opere buone che ha fatto. Se siamo convinti di essere peccatori salvati per grazia, la nostra vita cambia e viviamo le benedizioni di Dio già nella nostra vita.

Ma come facciamo a capire se la nostra fede è come quella di Abele o come quella di Caino?
E’ sufficiente vedere come è la nostra reazione proprio in quelle situazioni in cui potremmo pensare che Dio non ci ascolta. Come ci comportiamo? Come Caino? Riflettiamo allora sul comportamento di Caino.

Il testo che abbiamo letto ci dice che Caino aveva il volto abbattuto. Egli vede solo il suo degrado, la sua delusione, il torto subito. Si chiude in sé stesso e si nasconde, nonostante Dio voglia dialogare con lui. Ma lui non riesce a incontrare Dio perché non alza lo sguardo verso l’alto. Il testo ci insegna che così facendo noi restiamo soli con i nostri cattivi sentimenti, con i nostri rancori. E se rimaniamo soli con i cattivi sentimenti, diamo a loro un potere enorme. E in questa situazione Caino è fragile ed è facile preda del peccato. Il peccato è pronto a saltarci addosso e approfittare del nostro momento di debolezza.

Non si tratta di una azione sbagliata alla quale si può rimediare facilmente; il peccato è una forza potente che ci può dominare. Per questo motivo Dio invita Caino a dominare il peccato, perché questo fa la differenza nella nostra vita. Siamo consapevoli che ognuno di noi ha dei peccati dietro l’angolo della nostra vita, che sono pronti ad attaccarci e a distruggerci? Per questo motivo è importante per ognuno di noi di guardare in faccia il peccato, perché altrimenti il peccato ci divora.

Caro fratello, prova a elencare quali sono nella tua vita i punti deboli che ti rendono facilmente attaccabile, e che tu forse tendi a minimizzare. Ad una prima lettura del testo che stiamo esaminando sembra che il problema di Caino sia Abele, oppure Dio stesso che riteniamo ingiusto. La realtà è che il vero problema di Caino non è Abele, ma il peccato che è nel suo cuore.

E’ così anche per noi oggi. Se io litigo con mia moglie, la mia tendenza come essere umano è di pensare che il mio problema sia mia moglie. Ma non è così. Il problema è il peccato che è nel mio cuore. Caino quindi si fa trasportare dall’invidia. L’invidia è un sentimento che brucia, e lui vuole ristabilire la sua giustizia. Non ascolta Dio e le sue esortazioni e diventa il primo omicida della storia. Adamo con la sua disobbedienza aveva rotto il rapporto con Dio, cioè la “relazione verticale” che ci unisce con Lui. Ma Caino ora rompe la “relazione orizzontale” che ci unisce agli altri uomini, rifiutando il suo amore a suo fratello. Chi non ama Dio, fallirà molto presto nell’amare il suo prossimo, suo fratello, la sua moglie e tutti gli esseri umani.

Leggiamo ora da Genesi, capitolo 4 dal versetto 9 al 16.
Il SIGNORE disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» Il SIGNORE disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». Caino disse al SIGNORE: «Il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo. Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà». Ma il SIGNORE gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui». Il SIGNORE mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse. Caino si allontanò dalla presenza del SIGNORE e si stabilì nel paese di Nod, a oriente di Eden.

Così Caino diventa bugiardo. Ed alla domanda di Dio dice di non sapere dove era Abele. Nel suo dialogo con Dio mostra sentimenti di odio. Non mostra infatti rimorso, ma solo il desiderio di discolparsi e di uscire da una situazione difficile quando afferma “sono forse io il guardiano di mio fratello?” Non mostra alcun pentimento. Infatti, ritiene eccessivo il castigo che riceve da Dio, perché non ha nemmeno capito la gravità di quanto aveva compiuto. E alla fine si allontana da Dio, ma prima di andarsene provoca Dio e gli rinfaccia di mandarlo incontro alla morte, esponendolo ad essere ucciso da qualche vendicatore.

Insomma, Caino si comporta come molti uomini di oggi, che non vedono il peccato nella loro vita e nonostante la loro bassezza morale insultano Dio e si allontanano da Lui. Giuda nella sua lettera al versetto 11 definisce questa “la via di Caino”, una via che porta alla perdizione eterna.

Ma la via di Dio è molto diversa. Dio cerca Caino e nonostante che ha rifiutato il suo dono vuole dialogare con lui. In questo gli mostra il Suo amore. Le domande che Lui fa a Caino non sono poste per avere delle informazioni. Dio sapeva bene dove ara Abele, ma voleva che Caino capisse in quale baratro si era precipitato. 

Dio nella Sua giustizia non può sorvolare sul peccato commesso: “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra… ora tu sarai maledetto” Caino deve fuggire, vagabondare. Per lui la terra non da più frutti. Ma Dio mostra grazia e misericordia. Assieme alla punizione gli lascia un segno per proteggerlo, in modo che nessuno lo possa uccidere.

Dio da sempre una seconda possibilità, una soluzione alternativa che col tempo può portare ad una riconciliazione con Lui. Anche se la sua vita non sarà più la stessa Dio cerca ancora di raggiungerlo. Dio non si arrende, Lui cerca sempre le persone che non lo meritano. Ma Caino non ha risposto in nessun modo alla misericordia di Dio.

Qualcuno dice che è molto ingiusto che Dio lasci una seconda possibilità a Caino, dopo tutto quello che ha fatto. La nostra giustizia è così. Per noi non esiste perdono per Caino. Ma per Dio ogni peccato può essere perdonato, purché l’uomo accetti l’opera di Dio che ha offerto Suo figlio Gesù sulla croce per redimerci. Nella lettera agli Ebrei troviamo scritto: “Voi vi siete invece avvicinati … a Gesù, il mediatore del nuovo patto e al sangue dell’aspersione, che parla meglio del sangue di Abele.” 

Il sangue di Abele viene paragonato al sangue di Gesù, come se Gesù fosse un secondo Abele. Lui infatti, come Abele, è morto innocente, ucciso da tutti i Caino che ci sono al mondo. È morto al nostro posto, per pagare la punizione per le nostre ingiustizie. 

La storia di Caino è la nostra storia. Ci mostra che il problema di fondo è il peccato, che, se non si ferma in tempo, ci distrugge. Ma il Signore ci invita a non farci dominare, ma a dominarlo. E lo possiamo fare perché in Cristo abbiamo la promessa che Lui è al nostro fianco tramite lo Spirito Santo, e perché il sangue di Cristo ci purifica da ogni peccato.

Leggiamo ora da Genesi, capitolo 4 dal versetto 25 al 26.
Adamo conobbe ancora sua moglie ed ella partorì un figlio che chiamò Set, perché, ella disse: «Dio mi ha dato un altro figlio al posto di Abele, che Caino ha ucciso». Anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. Allora si cominciò a invocare il nome del SIGNORE.

Abbiamo visto come Caino rifiuta ogni dialogo con Dio. Ma questi versetti aprono una luce di speranza nella vita di Adamo ed Eva. Essi pur cacciati dall’Eden, sperimentano la grazia di Dio, che si dimostra benevolo nella loro vita. Vedranno infatti l’amore di Dio che gli da una discendenza. Avranno un figlio che chiameranno Set.

Questo nome, Set, vuole dire “sostituto”, “colui che è al posto di”. Questa loro riscoperta di Dio nella loro vita li porta a chinare il capo e ad adorare Dio: “Allora si cominciò a invocare il nome del Signore” Una nuova relazione con Dio è cominciata nel giusto modo rispettando il Suo e il nostro ruolo. È una speranza di salvezza per Adamo ed Eva e per tutta l’umanità.

Amen.

Il buon Pastore


Cari fratelli e care sorelle, nella predica di oggi parleremo di Gesù. Per farlo useremo alcuni passaggi in cui è Gesù stesso a dare un’immagine di sé stesso, della propria natura e del proprio operato. E nonostante Gesù sia la persona più potente e sapiente che il mondo abbia mai conosciuto, vedremo come Lui stesso si paragona ad una delle figure più semplici e meno potenti che esistano. Infatti, Gesù si raffigura in uno dei lavori più diffusi ed umili del popolo di Israele: il pastore di pecore.

Il pastore è una figura molto cara al popolo ebraico e alla bibbia. Molti importanti personaggi biblici erano pastori. Fra i più noti vi sono Abramo, il patriarca del popolo di Dio, Giacobbe a cui Dio stesso diede il nome di Israele ed il re Davide, un uomo secondo il cuore di Dio. Questo fatto, dovrebbe farci riflettere sull’importanza della similitudine che Gesù ci propone nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni da cui leggeremo alcuni versetti. Mettete per favore un segno in questo punto della bibbia perché ci torneremo più volte.
Prima di leggere il testo biblico è necessario ricordare che Gesù questa volta parla per similitudine, ovvero paragona diversi tipi di persone con diversi tipi di mestieri ed animali che il popolo ebraico conosceva molto bene. Inoltre, dobbiamo anche sapere che Gesù indirizza queste frasi ai giudei. Alcune non capivano, altre si scandalizzavano e volevano lapidarlo e altri ancora credevano in Lui.


Ma questa similitudine si rivolge anche agli uomini e alle donne di ogni tempo. Sia perché Gesù utilizza un linguaggio molto semplice ed universale, sia perché parla dell’esistenza di pecore che a quel tempo non appartenevano al gregge, ma che ben presto si sarebbero aggiunte per formare un unico gregge, ovvero i cristiani di ieri, di oggi e di domani.
In questa similitudine Gesù parla di sé stesso, di cosa ha fatto e di cosa farà per il Suo popolo e ci fa delle promesse solenni, importanti per ognuno di noi; promesse che solo il Dio eterno può mantenere.


Leggiamo ora i primi versetti dal 1 al 5:


Gv 10:1 «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei».


In questo testo abbiamo diversi paragoni che vanno spiegati.
Abbiamo l’ovile, ovvero il luogo dove sono radunate le pecore. Le pecore sono i giudei del tempo, mentre l’ovile è la loro religione e tradizione.


Abbiamo poi la porta dell’ovile. Ovvero il punto di accesso principale per accedere al popolo. Nonostante vi sia una sola porta, vi è modo di accedere all’ovile anche da altre parti come fanno ad es. i ladri e briganti. E qui il riferimento è a tutti coloro che hanno cercato di attirare a sé le persone del popolo senza averne alcuna autorità (ad es. falsi profeti, sacerdoti corrotti, nazioni nemiche, ecc.). Queste persone vengono anche definiti come gli estranei.


Abbiamo poi il pastore delle pecore che è l’unico ad avere l’autorità di entrare nell’ovile attraverso questa unica porta. Nei versetti successivi sarà Gesù stesso a spiegare che questo pastore è Lui stesso.


Vi è anche un portinaio che apre solo al vero pastore. Questo portinaio è Dio Padre. A tal riguardo i Vangeli ci riferiscono di come Dio si sia espressamente compiaciuto del Suo Figlio unigenito e di come dal cielo sia sceso su di Lui lo Spirito di Dio. Questo conferma l’autorità di Gesù ad essere il vero e unico pastore del popolo di Dio.

Una volta entrato nell’ovile il pastore parla con le pecore e le chiama per nome. Le pecore che gli appartengono riconoscono la Sua voce e lo seguono e Lui le conduce fuori dall’ovile. Notiamo come il testo indirettamente ci chiarisce che non tutte le pecore dell’ovile appartengono al vero pastore. È infatti è storia come molti giudei non hanno riconosciuto la voce del vero pastore, non l’hanno seguito restando pertanto all’interno dell’ovile, ovvero nella tradizione religiosa giudaica.


Notiamo anche che il pastore va davanti a loro. Fa quindi da guida, da apri pista. Le pecore che lo seguono sono quindi i seguaci, detti anche discepoli di Gesù. A questo punto Giovanni sottolinea il fatto che i giudei non capirono questa similitudine e che Gesù fu così costretto a dare qualche ulteriore spiegazione.


Leggiamo ora dal versetto 7 al 10


7 Perciò Gesù di nuovo disse loro: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura. 10 Il ladro non viene se non per rubare, ammaz-zare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.


Gesù fa un’affermazione importante e chiarificante. Gesù dice di essere Lui l’unica porta delle pecore. Un’affermazione forte anche perché associata al fatto che tutti quelli che sono venuti prima di Lui, erano ladri e briganti.
Non posso qui dilungarmi in spiegazioni, ma il mio parere è che Gesù stia parlando della classe dirigente giudaica di quei tempi. Una classe dirigente lontana da una vera fede in Dio e sicuramente priva dello Spirito di Dio.
Notiamo anche che quando Gesù si paragona all’unica porta dell’ovile aggiunge un’informazione d’importanza capitale per ogni persona: se uno entra per me sarà salvato.
In questa sala capeggia una scritta importante. Vorrei quindi leggere il versetto nella sua interezza aggiungendo anche il versetto successivo:


Giovanni 14:6-7 Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche mio Padre, e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto».


Questo è il significato della porta. Allora come oggi, Gesù è l’unica porta che ci consente di arrivare al Padre e di conoscerlo; Gesù è l’unica via di salvezza.
Stiamo quindi molto in guardia nei confronti di tutti coloro che dicono che vi sono più vie per arrivare a Dio, al cielo, alla suprema conoscenza, al paradiso, alla vita eterna. Queste sono menzogne che non hanno nulla da spartire con la parola di Dio. Evidentemente ignorano o tralasciano volontariamente ciò che Giovanni ci riferisce come parole autentiche del Figlio di Dio.


Sempre nel testo appena letto leggiamo anche che Gesù non solo dona la salvezza alle Sue pecore, ma che queste pecore possono anche uscire ed entrare e trovare pastura. Entrare e uscire è una forma linguistica ebraica che significa “essere liberi”. Gesù libera le Sue pecore dalla schiavitù del peccato e dalla maledizione della legge.
E non pensiamo che ciò riguardi solo i giudei, perché la schiavitù del peccato riguarda ogni persona che non ha accolto Gesù nel suo cuore, che non lo ha fatto diventare la sua guida, il suo pastore. Essere liberi dalla schiavitù del peccato è la vera libertà, una libertà che purtroppo molti non comprendono e che invece vanno a cercare nei soldi, nella politica, nella metafisica, nei rapporti umani, ecc.


Altrettanto possiamo dire della legge mosaica, in quanto questa legge si ripresenta sempre sotto nuove vesti. La potremmo definire molto genericamente come religione, ovvero una serie di regole umane fatte per ridurre la nostra responsabilità di fronte a Dio. La religione vuole farci credere di essere a posto con Dio quando invece non lo siamo affatto. Ma non posso dilungarmi a riguardo.


La pastura è senz’altro riferibile al nutrimento spirituale di cui ogni persona ha bisogno per soddisfare quel bisogno innato che Dio ha innestato nel cuore di ogni essere umano. Tutti le persone sentono un vuoto interiore, ma poche sanno come colmarlo in modo soddisfacente e duraturo. La parola di Dio è l’unica soluzione a questa profonda mancanza, essa è la vera pastura di cui abbiamo tutti bisogno.


Infine, nel testo appena letto, troviamo scritto che Gesù è venuto affinché le Sue pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Per quanto riguarda la vita dobbiamo capire che si tratta della vita eterna insieme al Padre e non della vita biologica. Se non fosse così la frase stessa non avrebbe senso in quanto le pecore dell’ovile erano già vive e vegete. Con il termine abbondanza possiamo sia pensare alla dimensione eterna della vita, ma anche al fatto che la fede in Gesù ci dona una vita terrena più appagante e certamente priva di noia.


Facciamo ora un altro passo avanti con il capitolo 10 e leggiamo dal 11 al 16.


11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.


Gesù ripete per due volte che Lui è il buon pastore.
Questa è una chiara indicazione del fatto che Lui è l’unico vero pastore. Infatti, il testo ci parla in modo negativo del pastore mercenario che abbandona le pecore quando arriva il lupo. Il lupo è un evidente allusione al diavolo e più in generale al male. Gesù vuole chiarire che nessuno è in grado di proteggere le pecore dal male e dalle insidie del diavolo se non l’unico vero pastore. Gesù ci parla delle persone che non lo hanno accolto nel loro cuore e ci dice che di fronte alla debolezza della carne e alle tentazioni del diavolo, non hanno alcuna chance di resistere e vengono così rapite dalle cose di questo mondo. I loro pensieri e i loro desideri si disperdono in mille direzioni senza arrivare da nessuna parte. Sono come delle banderuole al vento. Per costoro ciò che oggi è vero, domani non lo è più e viceversa. Gesù invece è l’immutabile verità.

Vorrei a questo punto aggiungere una breve riflessione anche sulla figura del mercenario che abbandona il gregge quando arriva il lupo. La traduzione italiana è di tipo peggiorativo. In realtà la parola greca misthotos può essere tradotta anche con operario a giornata. Si tratta in pratica un dipendente, uno che lavora per avere uno stipendio. Gesù ci dice che le pecore non gli appartengono e che questo lavoratore in realtà non si cura delle pecore. Lo fa solo per avere un reddito, una ricompensa.


So di dire una cosa un po’ scomoda per qualcuno, ma a me pare che il Signore stia semplicemente dicendo che nessuna pecora dovrebbe mai affidare la propria piena fiducia ad un uomo anche se questo si chiama pastore. Chiunque sia questo pastore, qualunque sia il suo impegno e i suoi buoni propositi, non sarà mai il buon pastore.

Se poi lo fa solo per avere una ricompensa (lo stesso di quale tipo) tanto peggio.
E qui arriviamo al punto focale di tutto quello che Gesù ci insegna in questo brano sulla Sua persona e sul suo operato. Il buon pastore dà la Sua vita per le pecore.


Il Signore Gesù ha effettivamente dato la Sua preziosa vita per la salvezza delle Sue pecore. Di fronte all’estremo sacrificio sulla croce, Gesù non ha esitato a lungo nel fare la volontà del Padre. Quando Gesù pregò il Padre nel giardino del Getsemani sapeva che la salvezza di miliardi di persone dipendeva da quello che sarebbe accaduto da lì a poche ore. Così accettò il calice amaro dell’ira di Dio.

E proprio grazie a questo Suo sacrificio, ora le pecore non hanno da nulla da temere dal diavolo, dal male, dalle difficoltà della vita. Gesù è la roccia a cui aggrapparsi quando soffia la tempesta, l’ancora a cui legarsi quando il mare è in tempesta, è l’unica persona che è sempre pronta ad ascoltare, a rincuorare, ad aiutare. Il suo telefono non è mai in modalità aereo.


Ma soprattutto Lui è l’unico che ha sconfitto la morte e che ha donato la vittoria a tutti coloro che credono in Lui.

Noi siamo vittoriosi in Cristo!

Gesù ripete più volte che Lui conosce le Sue pecore per nome. Questo dovrebbe rincuorarci e darci fiducia nell’affrontare le difficoltà che ognuno di noi incontra in questa vita terrena. Ognuno ha le sue, ognuno le deve affrontare, ma ognuno è chiamato anche a farlo in piena fiducia in Colui che ci conosce meglio di noi stessi. In Colui che prima ancora che chiediamo qualcosa, già sa di che cosa abbiamo bisogno. Quando Gesù dice che ci conosce per nome intende molto di più del fatto che Lui si ricorda il nostro nome. Intende dire che Lui sa tutto di noi. Sa da dove veniamo e dove andiamo, sa per cosa batte veramente il nostro cuore e sa anche che cosa fare per correggere i nostri errori e per darci nuova speranza.


Veniamo ora ad una profezia che almeno in parte si è già avverata.
Gesù dice che ci sono anche altre pecore che non appartengono all’ovile di Israele, ma che Lui andrà a raccogliere quelle e che esse ascolteranno la Sua voce e lo seguiranno.

Credo che il significato sia molto chiaro e credo anche che questa profezia riguardi ogni persona che è seduta qui oggi. L’invito del buon pastore è rivolto a tutte le persone di questo mondo. Ma le Sue promesse, la Sua protezione, le Sue benedizioni diventano concrete solo per chi riconosce la Sua voce, solo per coloro che lo accolgono come pastore, come unica vera guida nella propria vita.


Gesù profetizza anche che vi sarà un solo gregge e un solo pastore. Gesù sta annunciando la nascita della Sua chiesa. Un luogo accessibile a tutte le pecore che seguono Gesù. Ebrei, samaritani, ciprioti, greci, romani, peruviani, rumeni, colombiani, laivesotti, bolzanini. ecc. Tutti i popoli della terra faranno parte della Gerusalemme celeste che un giorno scenderà dal cielo per regnare insieme a Dio.


Abbiamo anche letto che vi sarà un solo pastore. Se pensiamo a tutto quello che Gesù afferma di sé stesso, capiamo chiaramente che nessun altro potrà mai eguagliare la Sua potenza e mantenere le Sue promesse. Ma vorrei attirare la vostra attenzione su quello che Gesù dice pochi versetti più avanti e che ha fatto così tanto imbestialire i giudei al punto che volevano lapidarlo.


Leggiamo i versetti dal 27 al 30


27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, ed esse mi seguono; 28 e io do loro la vita eterna e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo uno».


Gesù afferma la Sua deità in un modo talmente chiaro che i Giudei vorrebbero lapidarlo sul posto. Ora, come voi sapete, vi sono sette che negano la deità di Gesù e confessioni cristiane che la relativizzano. Non voglio entrare nel dettaglio, ma se questo testo non è loro chiaro, come possono avere chiaro che cosa dice la bibbia?


Ma quello che più mi interessa condividere con voi di questi versetti è la promessa solenne che fa Gesù a tutti coloro che riconoscono la Sua voce e lo seguono. Dopo avere affermato che Gesù dona la vita eterna alla Sue pecore, dice anche che nessuno potrà mai rapirle (strapparle) dalle Sue mani.

Le Sue mani sono potentissime come è potente Dio stesso. E siccome nessuno è più grande di Dio, non c’è nessun essere in carne o in spirito che potrà mai togliere la vita eterna ad una pecora che appartiene a Gesù.
Che promessa grandiosa!

Il Dio eterno si impegna unilateralmente in un patto eterno, indelebile. Colui che decide in piena libertà di ascoltare la voce di Gesù, di accoglierlo nel suo cuore, di seguirlo sulle Sue vie, Dio non lo lascerà mai e un giorno incontrerà Gesù nel cielo.
E quando Gesù dice nessuno intende proprio tutti, ovvero anche la persona stessa che ha detto di sì a Gesù.


La conversione è irreversibile perché è un patto eterno garantito dall’Altissimo in persona. Se facciamo questo passo di fede in Gesù, se rinunciamo alla nostra vita per metterla nelle mani di Gesù, la mettiamo nelle mani più sicure e fedeli dell’universo e non saremo delusi. Questa è la promessa solenne di Dio.
Alleluia.


Vorrei concludere dando la parola direttamente a Dio. Leggiamo insieme il Salmo 23

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