GESÙ È LA VERA VITE, IL PADRE È IL VIGNAIUOLO

Cari fratelli e sorelle, anche oggi vogliamo riflettere su uno dei numerosi “Io sono” che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni.

Oggi rifletteremo sul seguente testo biblico: Giovanni 15:1-11
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto lo toglie via, e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me.
Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore.
Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa.

Questo breve discorso è uno dei numerosi insegnamenti che Gesù dà ai suoi discepoli durante la notte dell’ultima cena. Gesù fece una serie di discorsi per preparare i discepoli a ciò che stava per accadere e a ciò che sarebbe accaduto dopo la Sua morte. Si tratta quindi un discorso rivolto a persone credenti che hanno scelto di seguire Gesù a costo della loro stessa vita. Infatti, nei giorni e negli anni che seguirono, questi discepoli dovettero subire pesanti persecuzioni.

Ma queste parole valgono ancora oggi per tutti coloro che hanno deciso di seguire Gesù Cristo. Non abbiamo il tempo di considerare con la dovuta attenzione tutto questo testo. Come spesso accade, la bibbia è un condensato di verità e ogni parola che troviamo in essa merita di essere meditata con attenzione. Mi concentrerò pertanto solo sui i primi due versetti.

Iniziamo a leggere il versetto 1:
«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo
Nel vecchio testamento la vite e la vigna vengono utilizzate come metafore per parlare del popolo eletto di Dio. Nel Salmo 80 leggiamo che Dio portò fuori dall’Egitto una vite e che la piantò nella terra promessa dopo aver scacciato le nazioni. Questa è una chiara allusione al popolo di Israele che lasciò l’Egitto per stabilirsi in Palestina. Nel capitolo 5 del libro del profeta Isaia leggiamo “Infatti la vigna del SIGNORE degli eserciti è la casa d’Israele…”. Qui l’allusione alla vigna come simbolo del popolo ebraico è molto esplicita.

Nelle nostre bibbie le parole vite e vigna vengono spesso utilizzate in modo interscambiabile tra loro. Tuttavia, la parola vite identifica in primo luogo il ceppo di una pianta, parlandoci quindi dell’origine, della fonte vitale di questa pianta. La parola vigna invece ci parla più che altro di un insieme di piante, di un vigneto.
Isaia ci dice anche che la vigna può portare sia uva “buona” che uva “selvatica”. Credo che questo sia il motivo per il quale Gesù chiarisce fin dal primo versetto che Lui è la vera vite, l’unica radice, l’unico tronco da cui nascono i rami che portano frutti buoni e graditi a Dio.

L’altra cosa che ci dice Gesù in questo primo versetto è che Dio Padre è il vignaiuolo. Cioè, la persona preposta a piantare, curare e raccoglierne i frutti della vite.

Leggiamo ora la prima parte del versetto 2:
Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via
Il tralcio è il ramo giovane che cresce dal tronco della vite. Su questo ramo si formano le foglie, i fiori e poi il frutto. Dalla botanica sappiamo che non tutti i tralci portano frutto; alcuni portano solo foglie. I viticoltori tolgono i tralci che portano solo foglie perché vogliono che tutta l’energia e tutto il nutrimento che viene dal tronco della vite sia destinato ai frutti. L’obiettivo della vite, il suo scopo principale, non è infatti quello di fare ombra, ma di portare frutto.

Gesù ci dice che non tutti coloro che si dicono cristiani portano frutto. Infatti, i tralci che non portano frutto verranno infatti tolti, eliminati dalla pianta.
Dalle Sue parole capiamo anche che questo non è il compito della vite (cioè, di Gesù) ma del vignaiuolo, ovvero Dio Padre. Da questa affermazione capiamo così che solo Dio ha il compito di giudicare se un cristiano è degno o meno di chiamarsi tale.

Grazie a Dio non siamo noi uomini ad avere una tale responsabilità. Non spetta a noi eliminare i tralci infruttuosi. A conferma di ciò Gesù ci ha lasciato la parabola sulla zizzania seminata nel campo di grano del Regno dei Cieli. Da questa parabola sappiamo che il compito di sradicare il finto grano cresciuto nel campo di Dio non spetta a noi uomini, ma solo agli angeli di Dio. È il Signore ad avere l’ultima parola ed è Lui che decide quando un tralcio è da eliminare e da gettare nel fuoco.

Purtroppo, però la storia della chiesa cristiana è piena di esempi in cui degli uomini si sono presi il diritto di eleminare tralci dalla vite, escludendo di imperio uomini e donne dalla cristianità. Li hanno espulsi dalla comunità e in alcuni casi li hanno pure messi al rogo. Non possiamo dimenticare che nel diciassettesimo secolo, per questo motivo, si è fatta addirittura una guerra che ha sconvolto tutta l’Europa per trent’anni. Ecco cosa succede quando l’uomo si arroga il diritto di fare ciò che in realtà spetta a Dio. Questi uomini non erano certamente tralci fruttiferi.

Un altro aspetto di questa importante verità lo possiamo trovare in un altro degli insegnamenti più conosciuti di Gesù.
Leggiamo insieme dal capitolo 7 del Vangelo di Matteo, i versetti dal 15 al 23.
«Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li riconoscerete dunque dai loro frutti. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?” Allora dichiarerò loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!”

In questi versetti Gesù fa riferimento ai falsi profeti che sarebbero sorti dopo la Sua morte, ma questo avvertimento è ancora attuale. Gesù ci dice che dobbiamo riconoscere l’operato di chi profetizza, non solo in base a ciò che dice, ma anche in base ai frutti che egli porta. A questo punto però dobbiamo chiederci: quali sono i frutti, le opere buone che vanno portate?

Come dice lo stesso Gesù, non è il profetizzare nel Suo nome, non è lo scacciare demoni e nemmeno il compiere opere potenti che può dimostrare la bontà delle opere, ma bensì i buoni frutti li si riconosce dal fatto che essi solo quelli che derivano dalla volontà del Padre celeste.
Come dobbiamo intendere questa affermazione? Cosa vuol dire compiere la volontà di Dio? Non abbiamo il tempo di addentrarci su questo tema, ma credo sia importante ricordare che l’unica opera che Gesù chiede espressamente ad ogni suo discepolo è di credere in Lui. Tutte le altre opere derivano direttamente da questo atto di fede. Esse non sono le opere di chi le compie, ma sono le opere di Dio.

Una prima conclusione è che Gesù ci sta insegnando a diffidare da tutti coloro che predicano bene, ma che poi si comportano male. Da tutti coloro che dicono ad altri cosa è giusto e cosa è sbagliato fare, ma che poi non lo mettono in pratica.

Ma non c’è solo questo, perché in realtà non basta volere il bene, ma bisogna anche riuscire a compierlo.
E questa è la cosa veramente difficile perché senza una vera fede, senza lo Spirito Santo, non si possono compiere opere eterne, ma solo opere destinate a svanire insieme a questo mondo. Opere effimere che non portano ad alcun atto di amore vero, ad alcun ravvedimento, ad alcuna crescita spirituale.

In ogni caso, tra le opere gradite a Dio vi è senz’altro quella di non dare ascolto agli insegnamenti di chi non porta frutti graditi a Dio. I tralci devono diffidare di chi fa cose molto appariscenti, se non addirittura miracolose, perché anche Satana è in grado di fare questo tipo di opere.
Ai tralci spetta anche il compito di giudicare se l’insegnamento che ricevono è conforme alla parola di Dio. Per questo motivo, noi tutti siamo chiamati a conoscere bene la parola di Dio. Infatti, come possiamo conoscere la Sua volontà se non conosciamo la Sua parola? Conoscere la Sua parola è un’opera gradita a Dio perché Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità.

Leggiamo ora la seconda parte del versetto 2:
e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più
Gesù ci rivela anche ciò che il vignaiuolo fa con i tralci che portano frutto. Dio li cura tagliando le parti inutili. I viticoltori ci tengono molto a ricavare grappoli d’uva di alta qualità. Per questa ragione l’arte della potatura è molto importante. Potare significa tagliare i tralci in modo strategico. Infatti, i tralci che portano frutto non vengono tolti come quelli che non danno frutto, ma vengono tagliati con l’obiettivo di dare maggior frutto. Inoltre, i viticoltori tolgono alcune foglie anche dai tralci che portano frutto per fare in modo che i grappoli prendano più sole e maturino meglio.

Ma questa frase di Gesù porta in sé una parola chiave che va analizzata meglio. Nella traduzione italiana la parola greca “kathario” viene tradotta con “potare”. Ma a mio giudizio, questa è una traduzione fuorviante, tanto è vero che nella traduzione spagnola questa parola non viene tradotta con “podar o recortar”, ma con “limpiar” che significa pulire. E infatti, la parola greca “kathario” è strettamente imparentata alla parola “katharizo” che significa purificare. Quindi, se volessimo riscrivere la frase del versetto tenendo conto di questo significato, potremmo scrivere “ogni tralcio che dà frutto, lo pulisce [lo purifica] affinché ne dia di più”.

Gesù ci sta dicendo che le persone che portano buoni frutti, vengono purificate dal Padre celeste. Dio li sottopone coloro a un processo di santificazione. Questo processo di santificazione avviene in tre fasi. Quella che ci interessa in questo contesto è la seconda fase, quella della vita vissuta nella fede. Essa si riferisce al processo di crescita spirituale della persona che avviene sotto l’occhio vigile e amorevole di Dio. La persona che ha ricevuto lo Spirito Santo, si confronta con la propria natura umana e vive il conflitto interiore tra la carne e lo spirito.

Leggiamo dal capitolo 12 della lettera agli Ebrei, i versetti da 4 a 8:
Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato, e avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli». Sopportate queste cose per la vostra correzione. Dio vi tratta come figli; infatti, qual è il figlio che il padre non corregga? Ma se siete esclusi da quella correzione di cui tutti hanno avuto la loro parte, allora siete bastardi e non figli.
Leggiamo ora anche il versetto 11: È vero che qualunque correzione sul momento non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa.

Dopo aver letto questo insegnamento forse capiamo meglio che cosa vuole dire Gesù quando parla di potare, pulire, purificare il tralcio fruttifero.
Questa opera è dolorosa, ma è fatta con l’amore di una Padre verso il proprio figlio.
Questa opera di Dio ha come obiettivo quello di farci portare un frutto più grande, più gradito a Dio.

Durante il corso di preparazione al battesimo abbiamo avuto modo di riflettere sul capitolo 7 della lettera ai Romani. In questo capitolo Paolo parla del conflitto tra la carne e lo spirito e lo descrive come una cosa dolorosa, ma necessaria. Un credente che non vive questo conflitto non cresce a livello spirituale.

Agendo come un padre amoroso, Dio dapprima ci manda qualche ammonimento, poi ci richiama con qualche parola decisa e chiara e alla fine, se necessario, ci lascia anche cadere nel buco o nella trappola che ci siamo costruiti da soli. Ma Gesù è sempre pronto a venire in soccorso della nostra incredulità, ci tende la mano e ci tira fuori dai pasticci che abbiamo combinato.

A tal riguardo mi torna in mente quando Pietro camminò sulle acque. Dopo poco però, Pietro inizio ad annegare, chiamo Gesù e disse: ”Signore, Salvami” Gesù tese il braccio, lo afferrò e disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

A tal proposito e importante ricordare che Dio non ci manda le prove per farci del male, ma per farci crescere.
La punizione che Dio ci infligge ha il solo scopo di farci crescere. Dio infatti può decidere che è necessario farci assaporare le conseguenze dei nostri errori, perché spesso è solo la nostra sconfitta, la nostra fragilità, la nostra infedeltà, la nostra incapacità di amare, che può piegare la nostra superbia e la nostra incredulità e portarci al ravvedimento e a una vera rigenerazione.

Gesù è sempre pronto ad ascoltare il nostro grido di aiuto. Come ha fatto con Pietro, così farà anche con noi. Ma non solo, Gesù ci perdonerà per ogni nostra mancanza e peccato perché vuole ristabilirci, vuole rimetterci in grado di servirlo, ci vuole felici.

A volte però, i nostri errori possono avere delle conseguenze durature; danni che dureranno per tutta la nostra vita. Non sempre, infatti, il pentimento e il perdono possono cancellare tutte le conseguenze delle nostre malefatte. Se ad es. abbiamo abusato con il fumo, con l’alcool, con il cibo, se ci siamo indebitati ben al di sopra delle nostre possibilità, se abbiamo inferto una ferita profonda o un danno permanente a qualcuno, non è sempre possibile risanare ogni cosa.
Certo Dio può ogni cosa, e così, come ha guarito ciechi e paralitici, può anche guarirci da un male incurabile, ma non dobbiamo pensare che Lui lo debba o lo voglia fare. Ci sono infatti delle cose che sfuggono dalla nostra comprensione e che rispondono ad un disegno divino che sta molto al di sopra della nostra volontà e dei nostri, seppur legittimi, desideri.

L’apostolo Paolo ha capito questa profonda verità e ha accettato il fatto che determinate preghiere non vengano esaudite dal Signore. Sentite che cosa scrive ai Corinzi nella sua seconda lettera. Leggiamo dal capitolo 12 i versetti da 7 a 10:
E perché io non avessi a insuperbire per l’eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.

Ecco, questo è forse il modo migliore per affrontare ogni prova che il Signore ci dà. Se dobbiamo soffrire per determinate cose durante tutta la nostra vita, se il Signore non esaudisce la nostra preghiera, non dobbiamo smettere di sperare, ma dobbiamo credere che Dio ha in serbo per noi qualcosa di ancora più grande di quello che possiamo immaginare. In questo caso, Paolo ha capito di avere un grosso problema: la superbia. Perciò ha accettato che il Signore gli ricordasse questo peccato per tutta la vita rendendolo debole e sottoponendolo a molte privazioni.

Oggi, che conosciamo il disegno che Dio aveva per il suo servo Paolo, possiamo certamente dire che Dio ha fatto di Lui un esempio di fede, di servizio e di dedizione senza paragoni. Paolo è diventato così il più grande teologo e missionario della cristianità. Paolo era un tralcio che portava frutto perché proveniva dalla vite vera, Gesù Cristo. Il vignaiuolo, il Padre celeste, lo ha purificato con cura e con perfezione. Questa pulizia è stata anche dolorosa, ma è stata talmente efficace che i frutti che Paolo ha portato rimangono per sempre scritti nel libro eterno di Dio.

Siamo così giunti al termine del tempo che mi è concesso, ma prima di chiudere vorrei che leggessimo insieme l’ultimo versetto tra quelli che abbiamo letto all’inizio. Vorrei che ognuno di noi portasse a casa questo messaggio di speranza e di incoraggiamento e che capisse nel profondo del suo cuore che lo scopo di Gesù è quello di renderci felici.

È un messaggio che Gesù vuole dare a tutti i tralci che portano frutto.
Leggiamo il versetto 11
Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa.
Amen.

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