La porta dell’ovile
Vangelo di Giovanni 10:7-9

Io sono la porta delle pecore

Cari fratelli e sorelle leggiamo Giovanni 10:7-9

7 Perciò Gesù di nuovo disse loro: “In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pastura.

La predica di oggi è incentrata sui versetti 7 e 9, dove Gesù dice di essere la porta della salvezza delle pecore. Ma in realtà questo brano inizia al versetto 1 e va avanti fino al versetto 16. In questo brano Gesù pronuncia due “Io sono”. Infatti, Gesù dice di essere sia la porta delle pecore che il buon pastore. Sono due aspetti importanti che ci descrivono chi è Gesù e quale è la Sua opera. Anche se questi due “Io sono” sono collegati tra loro vanno visti in modo distinto.

Noi oggi ci occuperemo del fatto che Gesù dice di essere la porta delle pecore.

Io sono la porta delle pecoredisse Gesù ai giudei che lo ascoltavano, ma che non capivano.

Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvatodice Gesù ancora oggi a chiunque lo ascolti. Solo che oggi, grazie allo Spirito Santo, noi possiamo capire questo messaggio di fondamentale importanza.

Prima di passare al tema principale ci tengo a ricordare che:

Gesù non è una delle tante porte che possiamo scegliere per avere la vita eterna,
Gesù è l’unica porta che dona la salvezza dal giudizio giusto ed eterno di Dio.
Gesù è l’unica uscita di sicurezza da questo mondo che sta andando in fiamme!

Fatta questa premessa vogliamo ora capire meglio che cosa Gesù intende dicendo di essere una porta. Ovviamente non parla in modo letterale. Gesù non è una porta come quella di questa stanza. Si tratta quindi di una simbologia.

Per capire questa simbologia possiamo pensare a cosa serve una porta.

  • Una porta separa un ambiente da un altro ambiente.
  • Una porta è fatta per aprirsi, ma anche per chiudersi.
  • Una porta serve per lasciare entrare alcune persone e per lasciarne fuori altre.
  • Una porta serve per ripararsi dall’esterno, ma anche per poter uscire di casa quando vogliamo. Chi abiterebbe in una casa senza porta?

Quindi, in senso più generale, la porta è una soglia e una via di accesso, così come lo è anche la porta di una città o la porta di un computer o la porta di imbarco di un aeroporto. Per chi ama il calcio poi, la porta è anche quel posto del campo in cui vogliamo far arrivare il pallone prendendolo a calci o a testate, ma questa però è un’altra storia…. Tuttavia, anche in questo caso c’è una similitudine perché anche in questo caso abbiamo qualcuno che veglia su chi o su cosa entra dalla porta.

Quando Gesù ci dice di essere una porta, dice in sostanza un po’ tutto questo.
Gesù protegge le pecore dal maligno, rende sicura la nostra casa spirituale lasciando entrare nel nostro spirito solo ciò che ci fa del bene.

Ma Gesù è anche Colui che apre la porta del nostro cuore per avere un rapporto intimo e profondo con noi.

Gesù apre anche la porta della prigione in cui ci troviamo per liberarci dalla schiavitù del peccato in cui ci troviamo sin dalla nascita.

Gesù ci apre la porta dell’ovile in modo tale da farci camminare in questo mondo nelle vie che Dio ha già preparato per noi.

Gesù apre la porta che ci conduce al Padre celeste, che ci apre le porte della città eterna, della Gerusalemme celeste dove un giorno abiteremo insieme a Dio stesso.

Questo in grande sintesi è quello che mi fa pensare quando Gesù dice di essere la porta delle pecore. E siccome penso di essere tra quelle pecore che Lui chiama per nome, non posso che essere felice e grato di sapere questo.

La porta di DioOra però ci prenderemo del tempo per vedere insieme che cosa dice la Bibbia in merito a quella che è la porta più importante per ognuno di noi. Vedremo così che, quando Gesù dice di essere la porta intende proprio quella porta che in vario modo e nei vari millenni è sempre stata quella che potremmo definire “la porta di Dio”.

Nella bibbia troviamo infatti alcune situazioni molto importanti che ci parlano di porte che hanno un significato importante nella relazione tra Dio e gli uomini.
Vi propongo quindi di fare insieme a me un breve percorso nella scrittura per andare a vedere dove troviamo queste porte. Vi assicuro che vi stupirete di come questa simbologia sia presente ed estremamente significativa per la nostra vita spirituale.

La porta dell’EdenCominciamo così con il libro della Genesi dove troviamo non esattamente una porta, ma comunque una soglia, un varco da cui Adamo ed Eva hanno dovuto uscire senza poter più farci ritorno. Avevano disubbidito all’unico comandamento di Dio e avevano preferito ascoltare la voce di Satana. Presero il frutto della conoscenza del bene e male dall’unico albero che Dio aveva loro proibito di prendere.

Leggiamo dal libro della Genesi, capitolo 3, dal versetto 22 al 24:
Genesi 3:22 Poi l’Eterno Iddio disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre”. 23 Perciò l’Eterno Iddio mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra dalla quale era stato tratto. 24 Così egli scacciò l’uomo; e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita.

Abbiamo appena letto di come Dio abbia creato la prima porta per dividere l’Eden dal resto del mondo. Una porta che divide il luogo in cui incontrare Dio, dal luogo in cui è l’uomo che ritiene di essere al vertice della conoscenza e di poter decidere che cosa è bene e cosa è male. Di fronte ad una tale ribellione, Dio decide di cacciare Adamo e Eva dalla Sua presenza e di chiudere l’accesso all’Eden in modo tale che gli uomini non potessero più giungere all’albero della vita e vivere per sempre. Dio ha chiuso la porta dell’Eden con degli angeli molto potenti, i cherubini, a cui ha dato il compito di impedire a chiunque di entrare.

Questa è la prima porta di cui si parla nella bibbia e purtroppo si tratta di una porta che si chiude. È una porta che separa e che chiarisce ciò che è gradito a Dio da ciò che non lo è. Che definisce ciò che è santo, da ciò che non lo è. È una porta che sancisce un giudizio di Dio inderogabile. L’uomo, creato per vivere in eterno con Dio viene condannato alla morte a causa della Suo desiderio di essere come Dio.

La porta dell’arca di NoèIl libro della Genesi ci parla anche di un’altra porta molto importante: La porta dell’arca di Noè. L’arca è stata costruita da Noè per salvare ogni specie vivente che respirava dal giudizio che Dio fece arrivare sul mondo sottoforma di diluvio universale.
In questa arca c’era una sola porta per entrare e un’unica finestra che era rivolta verso il cielo.

Già questo ci dice che la via della salvezza dal giudizio divino è una porta, una sola porta e che nell’attesa del giudizio dobbiamo solo guardare in una direzione, ovvero verso l’alto. Non ci sono altre porte che danno la salvezza. È interessante notare che fu Dio stesso a chiudere la porta dell’arca. Leggiamo quindi Genesi 7:15-17
Di ogni essere vivente in cui è alito di vita venne una coppia a Noè nell’arca: venivano maschio e femmina di ogni specie, come Dio aveva comandato a Noè; poi l’Eterno lo chiuse dentro l’arca. E il diluvio venne sopra la terra per quaranta giorni;

In questo caso vediamo che la porta è un simbolo di salvezza, ma al tempo stesso anche di giudizio. Nell’arca salirono solo 8 persone, tutte le altre furono spazzate via dal diluvio che Dio mandò sulla terra perché gli uomini era diventati malvagi.

Il fatto che sia stato Dio a chiudere la porta ci dice che è Dio ad avere le chiavi della porta e a decidere quando è arrivato il momento di dare corso al giudizio universale. È Lui che sa quando tutti coloro che Lui ha preconosciuto come Sue pecore sono entrati nell’ovile del buon pastore. Noi abbiamo il compito di farci trovare dalla parte giusta della porta; come fece Noè con tutta la sua famiglia.

La porta del santissimoFacciamo ora un salto di migliaia di anni ovvero quando Mosè costruì il tabernacolo. Per farla breve, il tabernacolo era il luogo dove si celebravano tutti i riti ebraici e dove Dio incontrava Mosè. Era composto da un cortile e da una tenda. Nella tenda, dove erano conservati gli oggetti più sacri, potevano entrare solo i sacerdoti. Il popolo portava con sé il tabernacolo in ogni luogo dove andasse.

Nel punto più profondo della tenda sacra c’era una stanzetta in cui era conservata l’arca del patto. Da quella stanzetta, che si chiamava il santissimo, usciva la nube di fumo che di notte era una colonna di fuoco. Questa nube segnalava la presenza di Dio tra il popolo. Quello era il luogo dove si poteva incontrare Dio ed era anche il luogo più inaccessibile di Israele tanto è vero che vi poteva entrare solo il sommo sacerdote e solo per una volta all’anno. Chiunque altro vi entrava sarebbe morto perché era impossibile resistere al fuoco consumante di Dio.

Per entrare in questo santissimo vi era una porta che non era fatta di legno o di ferro, bensì era un velo molto spesso (circa 10 cm). Su quel velo erano ricamati dei cherubini. Si, esattamente gli stessi angeli che Dio aveva messo a guardia alle porte dell’Eden dopo aver cacciato Adamo ed Eva a causa del loro peccato.

Anche in questo caso vediamo che la porta è una soglia che separa l’uomo da Dio. È un velo che separa ciò che è santo da ciò che è imperfetto e peccatore. Ma vediamo anche che vi era un uomo che potevano entrare da quella porta. Questo era il segno premonitore che sarebbe arrivato un uomo di Dio che avrebbe aperto una volta per sempre questa porta.

Centinaia di anni dopo, quando Salomone costruì il primo tempio di Gerusalemme, lo fece in legno e in pietra e ovviamente costruì anche il santissimo. E anche in quel caso Dio scese in esso in una nuvola di fumo. E anche allora nel santissimo poteva entrare solo il sommo sacerdote solo una volta all’anno. E anche allora la porta del santissimo era un velo molto spesso fatto in tessuto dove erano ricamati i cherubini.

Poche centinaia di anni dopo, il tempio di Salomone fu distrutto dai Babilonesi e gli ebrei ricostruirono il tempio secondo lo schema del primo e quindi rifecero anche il velo che separava il santissimo dal resto del tempio.

Vediamo così che la via che porta ad incontrare Dio è rimasta chiusa dai tempi di Adamo ed Eva fino ai giorni in cui Gesù visse per un tempo su questa terra.

La porta viene aperta per sempre
Gesù chiamava il tempio la casa di mio padre e gli insegnamenti più importanti riguardo alla Sua natura divina li diede proprio all’interno del tempio. Ma la cosa più importante che Gesù fece nel tempio fu quella di aprire una volta per tutte la tenda che separava il santissimo dal resto del tempio. Per farlo dovette morire sulla croce.

Leggiamo Matteo 27:50-51 E Gesù, avendo di nuovo gridato a gran voce, rese lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo; la terra tremò e le rocce si schiantarono;

Vi siete mai chiesti perché era necessaria la morte di Gesù per aprire questa porta?

Il sommo sacerdote, quando entrava nel santissimo doveva eseguire una serie di rituali e fare sacrifici di animali per espiare il peccato del popolo. Ma siccome questi sacrifici non erano perfetti, essi dovevano essere continuamente ripetuti negli anni.

Gesù salì sulla croce come l’Agnello perfetto di Dio che toglie il peccato del mondo.
Gesù era il sacrificio definitivo per espiare tutti i peccati dell’umanità di fronte a Dio. Questa era l’unica via possibile per gli uomini per tornare ad avere una vera comunione con Dio. Gesù, quindi, è colui che apre la porta che separava l’uomo peccatore dal Dio della perfezione e della verità.

Il velo del santissimo che si squarcia dall’alto verso il basso raffigura l’opera che Dio ha fatto donando il corpo e il sangue del proprio figlio unigenito affinché l’uomo peccatore potesse ritornare a parlare con Dio, così come potevano fare Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden prima di cadere nel peccato.

Questa verità viene illustrata molto bene nella lettera agli Ebrei ed in particolare nel capitolo 10. Non potendo leggere qui tutto il capitolo vi propongo di leggere solo un breve passaggio da questa lettera:

Ebrei 10:19-20 Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, 20 la via recente e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso il velo, vale a dire la sua carne.

Questi versetti ci dicono che ora siamo liberi di entrare nel santissimo perché Gesù ha versato il Suo sangue per lavare i nostri peccati e perché il suo corpo è stato squarciato dall’alto verso il basso, ovvero per volontà di Dio.

Ecco che così ora possiamo ritornare all’affermazione di Gesù che abbiamo letto all’inizio: Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato

E ora credo che tutti noi possiamo meglio capire che cosa intende Gesù quando dice di essere la porta, l’unica porta che porta alla salvezza, ovvero alla vita eterna insieme al Padre celeste, al nostro Creatore e al Suo Agnello.

Le porte eterneNella Gerusalemme celeste, la magnifica città eterna che scenderà dal cielo vi saranno 12 porte da cui potranno entrare solo coloro che hanno lavato le loro vesti (ovvero i loro peccati) con il sangue di Gesù. In quel luogo troveranno di nuovo l’albero della vita da cui l’uomo peccatore non può attingere per vivere in eterno.

Vi lascio quindi con questa visione dell’apostolo Giovanni che ci proietta nel luogo a cui sono destinate tutte le pecore che Gesù chiama per nome e che accettano di entrare da quella unica porta di salvezza che è la carne di Gesù Cristo.

Gesù stesso dice:

Apocalisse 22:13-14Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. 14 Beati quelli che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e per entrare per le porte nella città!

Il buon Pastore


Cari fratelli e care sorelle, nella predica di oggi parleremo di Gesù. Per farlo useremo alcuni passaggi in cui è Gesù stesso a dare un’immagine di sé stesso, della propria natura e del proprio operato. E nonostante Gesù sia la persona più potente e sapiente che il mondo abbia mai conosciuto, vedremo come Lui stesso si paragona ad una delle figure più semplici e meno potenti che esistano. Infatti, Gesù si raffigura in uno dei lavori più diffusi ed umili del popolo di Israele: il pastore di pecore.

Il pastore è una figura molto cara al popolo ebraico e alla bibbia. Molti importanti personaggi biblici erano pastori. Fra i più noti vi sono Abramo, il patriarca del popolo di Dio, Giacobbe a cui Dio stesso diede il nome di Israele ed il re Davide, un uomo secondo il cuore di Dio. Questo fatto, dovrebbe farci riflettere sull’importanza della similitudine che Gesù ci propone nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni da cui leggeremo alcuni versetti. Mettete per favore un segno in questo punto della bibbia perché ci torneremo più volte.
Prima di leggere il testo biblico è necessario ricordare che Gesù questa volta parla per similitudine, ovvero paragona diversi tipi di persone con diversi tipi di mestieri ed animali che il popolo ebraico conosceva molto bene. Inoltre, dobbiamo anche sapere che Gesù indirizza queste frasi ai giudei. Alcune non capivano, altre si scandalizzavano e volevano lapidarlo e altri ancora credevano in Lui.


Ma questa similitudine si rivolge anche agli uomini e alle donne di ogni tempo. Sia perché Gesù utilizza un linguaggio molto semplice ed universale, sia perché parla dell’esistenza di pecore che a quel tempo non appartenevano al gregge, ma che ben presto si sarebbero aggiunte per formare un unico gregge, ovvero i cristiani di ieri, di oggi e di domani.
In questa similitudine Gesù parla di sé stesso, di cosa ha fatto e di cosa farà per il Suo popolo e ci fa delle promesse solenni, importanti per ognuno di noi; promesse che solo il Dio eterno può mantenere.


Leggiamo ora i primi versetti dal 1 al 5:


Gv 10:1 «In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. 2 Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. 4 Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei».


In questo testo abbiamo diversi paragoni che vanno spiegati.
Abbiamo l’ovile, ovvero il luogo dove sono radunate le pecore. Le pecore sono i giudei del tempo, mentre l’ovile è la loro religione e tradizione.


Abbiamo poi la porta dell’ovile. Ovvero il punto di accesso principale per accedere al popolo. Nonostante vi sia una sola porta, vi è modo di accedere all’ovile anche da altre parti come fanno ad es. i ladri e briganti. E qui il riferimento è a tutti coloro che hanno cercato di attirare a sé le persone del popolo senza averne alcuna autorità (ad es. falsi profeti, sacerdoti corrotti, nazioni nemiche, ecc.). Queste persone vengono anche definiti come gli estranei.


Abbiamo poi il pastore delle pecore che è l’unico ad avere l’autorità di entrare nell’ovile attraverso questa unica porta. Nei versetti successivi sarà Gesù stesso a spiegare che questo pastore è Lui stesso.


Vi è anche un portinaio che apre solo al vero pastore. Questo portinaio è Dio Padre. A tal riguardo i Vangeli ci riferiscono di come Dio si sia espressamente compiaciuto del Suo Figlio unigenito e di come dal cielo sia sceso su di Lui lo Spirito di Dio. Questo conferma l’autorità di Gesù ad essere il vero e unico pastore del popolo di Dio.

Una volta entrato nell’ovile il pastore parla con le pecore e le chiama per nome. Le pecore che gli appartengono riconoscono la Sua voce e lo seguono e Lui le conduce fuori dall’ovile. Notiamo come il testo indirettamente ci chiarisce che non tutte le pecore dell’ovile appartengono al vero pastore. È infatti è storia come molti giudei non hanno riconosciuto la voce del vero pastore, non l’hanno seguito restando pertanto all’interno dell’ovile, ovvero nella tradizione religiosa giudaica.


Notiamo anche che il pastore va davanti a loro. Fa quindi da guida, da apri pista. Le pecore che lo seguono sono quindi i seguaci, detti anche discepoli di Gesù. A questo punto Giovanni sottolinea il fatto che i giudei non capirono questa similitudine e che Gesù fu così costretto a dare qualche ulteriore spiegazione.


Leggiamo ora dal versetto 7 al 10


7 Perciò Gesù di nuovo disse loro: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9 Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura. 10 Il ladro non viene se non per rubare, ammaz-zare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.


Gesù fa un’affermazione importante e chiarificante. Gesù dice di essere Lui l’unica porta delle pecore. Un’affermazione forte anche perché associata al fatto che tutti quelli che sono venuti prima di Lui, erano ladri e briganti.
Non posso qui dilungarmi in spiegazioni, ma il mio parere è che Gesù stia parlando della classe dirigente giudaica di quei tempi. Una classe dirigente lontana da una vera fede in Dio e sicuramente priva dello Spirito di Dio.
Notiamo anche che quando Gesù si paragona all’unica porta dell’ovile aggiunge un’informazione d’importanza capitale per ogni persona: se uno entra per me sarà salvato.
In questa sala capeggia una scritta importante. Vorrei quindi leggere il versetto nella sua interezza aggiungendo anche il versetto successivo:


Giovanni 14:6-7 Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche mio Padre, e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto».


Questo è il significato della porta. Allora come oggi, Gesù è l’unica porta che ci consente di arrivare al Padre e di conoscerlo; Gesù è l’unica via di salvezza.
Stiamo quindi molto in guardia nei confronti di tutti coloro che dicono che vi sono più vie per arrivare a Dio, al cielo, alla suprema conoscenza, al paradiso, alla vita eterna. Queste sono menzogne che non hanno nulla da spartire con la parola di Dio. Evidentemente ignorano o tralasciano volontariamente ciò che Giovanni ci riferisce come parole autentiche del Figlio di Dio.


Sempre nel testo appena letto leggiamo anche che Gesù non solo dona la salvezza alle Sue pecore, ma che queste pecore possono anche uscire ed entrare e trovare pastura. Entrare e uscire è una forma linguistica ebraica che significa “essere liberi”. Gesù libera le Sue pecore dalla schiavitù del peccato e dalla maledizione della legge.
E non pensiamo che ciò riguardi solo i giudei, perché la schiavitù del peccato riguarda ogni persona che non ha accolto Gesù nel suo cuore, che non lo ha fatto diventare la sua guida, il suo pastore. Essere liberi dalla schiavitù del peccato è la vera libertà, una libertà che purtroppo molti non comprendono e che invece vanno a cercare nei soldi, nella politica, nella metafisica, nei rapporti umani, ecc.


Altrettanto possiamo dire della legge mosaica, in quanto questa legge si ripresenta sempre sotto nuove vesti. La potremmo definire molto genericamente come religione, ovvero una serie di regole umane fatte per ridurre la nostra responsabilità di fronte a Dio. La religione vuole farci credere di essere a posto con Dio quando invece non lo siamo affatto. Ma non posso dilungarmi a riguardo.


La pastura è senz’altro riferibile al nutrimento spirituale di cui ogni persona ha bisogno per soddisfare quel bisogno innato che Dio ha innestato nel cuore di ogni essere umano. Tutti le persone sentono un vuoto interiore, ma poche sanno come colmarlo in modo soddisfacente e duraturo. La parola di Dio è l’unica soluzione a questa profonda mancanza, essa è la vera pastura di cui abbiamo tutti bisogno.


Infine, nel testo appena letto, troviamo scritto che Gesù è venuto affinché le Sue pecore abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Per quanto riguarda la vita dobbiamo capire che si tratta della vita eterna insieme al Padre e non della vita biologica. Se non fosse così la frase stessa non avrebbe senso in quanto le pecore dell’ovile erano già vive e vegete. Con il termine abbondanza possiamo sia pensare alla dimensione eterna della vita, ma anche al fatto che la fede in Gesù ci dona una vita terrena più appagante e certamente priva di noia.


Facciamo ora un altro passo avanti con il capitolo 10 e leggiamo dal 11 al 16.


11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.


Gesù ripete per due volte che Lui è il buon pastore.
Questa è una chiara indicazione del fatto che Lui è l’unico vero pastore. Infatti, il testo ci parla in modo negativo del pastore mercenario che abbandona le pecore quando arriva il lupo. Il lupo è un evidente allusione al diavolo e più in generale al male. Gesù vuole chiarire che nessuno è in grado di proteggere le pecore dal male e dalle insidie del diavolo se non l’unico vero pastore. Gesù ci parla delle persone che non lo hanno accolto nel loro cuore e ci dice che di fronte alla debolezza della carne e alle tentazioni del diavolo, non hanno alcuna chance di resistere e vengono così rapite dalle cose di questo mondo. I loro pensieri e i loro desideri si disperdono in mille direzioni senza arrivare da nessuna parte. Sono come delle banderuole al vento. Per costoro ciò che oggi è vero, domani non lo è più e viceversa. Gesù invece è l’immutabile verità.

Vorrei a questo punto aggiungere una breve riflessione anche sulla figura del mercenario che abbandona il gregge quando arriva il lupo. La traduzione italiana è di tipo peggiorativo. In realtà la parola greca misthotos può essere tradotta anche con operario a giornata. Si tratta in pratica un dipendente, uno che lavora per avere uno stipendio. Gesù ci dice che le pecore non gli appartengono e che questo lavoratore in realtà non si cura delle pecore. Lo fa solo per avere un reddito, una ricompensa.


So di dire una cosa un po’ scomoda per qualcuno, ma a me pare che il Signore stia semplicemente dicendo che nessuna pecora dovrebbe mai affidare la propria piena fiducia ad un uomo anche se questo si chiama pastore. Chiunque sia questo pastore, qualunque sia il suo impegno e i suoi buoni propositi, non sarà mai il buon pastore.

Se poi lo fa solo per avere una ricompensa (lo stesso di quale tipo) tanto peggio.
E qui arriviamo al punto focale di tutto quello che Gesù ci insegna in questo brano sulla Sua persona e sul suo operato. Il buon pastore dà la Sua vita per le pecore.


Il Signore Gesù ha effettivamente dato la Sua preziosa vita per la salvezza delle Sue pecore. Di fronte all’estremo sacrificio sulla croce, Gesù non ha esitato a lungo nel fare la volontà del Padre. Quando Gesù pregò il Padre nel giardino del Getsemani sapeva che la salvezza di miliardi di persone dipendeva da quello che sarebbe accaduto da lì a poche ore. Così accettò il calice amaro dell’ira di Dio.

E proprio grazie a questo Suo sacrificio, ora le pecore non hanno da nulla da temere dal diavolo, dal male, dalle difficoltà della vita. Gesù è la roccia a cui aggrapparsi quando soffia la tempesta, l’ancora a cui legarsi quando il mare è in tempesta, è l’unica persona che è sempre pronta ad ascoltare, a rincuorare, ad aiutare. Il suo telefono non è mai in modalità aereo.


Ma soprattutto Lui è l’unico che ha sconfitto la morte e che ha donato la vittoria a tutti coloro che credono in Lui.

Noi siamo vittoriosi in Cristo!

Gesù ripete più volte che Lui conosce le Sue pecore per nome. Questo dovrebbe rincuorarci e darci fiducia nell’affrontare le difficoltà che ognuno di noi incontra in questa vita terrena. Ognuno ha le sue, ognuno le deve affrontare, ma ognuno è chiamato anche a farlo in piena fiducia in Colui che ci conosce meglio di noi stessi. In Colui che prima ancora che chiediamo qualcosa, già sa di che cosa abbiamo bisogno. Quando Gesù dice che ci conosce per nome intende molto di più del fatto che Lui si ricorda il nostro nome. Intende dire che Lui sa tutto di noi. Sa da dove veniamo e dove andiamo, sa per cosa batte veramente il nostro cuore e sa anche che cosa fare per correggere i nostri errori e per darci nuova speranza.


Veniamo ora ad una profezia che almeno in parte si è già avverata.
Gesù dice che ci sono anche altre pecore che non appartengono all’ovile di Israele, ma che Lui andrà a raccogliere quelle e che esse ascolteranno la Sua voce e lo seguiranno.

Credo che il significato sia molto chiaro e credo anche che questa profezia riguardi ogni persona che è seduta qui oggi. L’invito del buon pastore è rivolto a tutte le persone di questo mondo. Ma le Sue promesse, la Sua protezione, le Sue benedizioni diventano concrete solo per chi riconosce la Sua voce, solo per coloro che lo accolgono come pastore, come unica vera guida nella propria vita.


Gesù profetizza anche che vi sarà un solo gregge e un solo pastore. Gesù sta annunciando la nascita della Sua chiesa. Un luogo accessibile a tutte le pecore che seguono Gesù. Ebrei, samaritani, ciprioti, greci, romani, peruviani, rumeni, colombiani, laivesotti, bolzanini. ecc. Tutti i popoli della terra faranno parte della Gerusalemme celeste che un giorno scenderà dal cielo per regnare insieme a Dio.


Abbiamo anche letto che vi sarà un solo pastore. Se pensiamo a tutto quello che Gesù afferma di sé stesso, capiamo chiaramente che nessun altro potrà mai eguagliare la Sua potenza e mantenere le Sue promesse. Ma vorrei attirare la vostra attenzione su quello che Gesù dice pochi versetti più avanti e che ha fatto così tanto imbestialire i giudei al punto che volevano lapidarlo.


Leggiamo i versetti dal 27 al 30


27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, ed esse mi seguono; 28 e io do loro la vita eterna e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo uno».


Gesù afferma la Sua deità in un modo talmente chiaro che i Giudei vorrebbero lapidarlo sul posto. Ora, come voi sapete, vi sono sette che negano la deità di Gesù e confessioni cristiane che la relativizzano. Non voglio entrare nel dettaglio, ma se questo testo non è loro chiaro, come possono avere chiaro che cosa dice la bibbia?


Ma quello che più mi interessa condividere con voi di questi versetti è la promessa solenne che fa Gesù a tutti coloro che riconoscono la Sua voce e lo seguono. Dopo avere affermato che Gesù dona la vita eterna alla Sue pecore, dice anche che nessuno potrà mai rapirle (strapparle) dalle Sue mani.

Le Sue mani sono potentissime come è potente Dio stesso. E siccome nessuno è più grande di Dio, non c’è nessun essere in carne o in spirito che potrà mai togliere la vita eterna ad una pecora che appartiene a Gesù.
Che promessa grandiosa!

Il Dio eterno si impegna unilateralmente in un patto eterno, indelebile. Colui che decide in piena libertà di ascoltare la voce di Gesù, di accoglierlo nel suo cuore, di seguirlo sulle Sue vie, Dio non lo lascerà mai e un giorno incontrerà Gesù nel cielo.
E quando Gesù dice nessuno intende proprio tutti, ovvero anche la persona stessa che ha detto di sì a Gesù.


La conversione è irreversibile perché è un patto eterno garantito dall’Altissimo in persona. Se facciamo questo passo di fede in Gesù, se rinunciamo alla nostra vita per metterla nelle mani di Gesù, la mettiamo nelle mani più sicure e fedeli dell’universo e non saremo delusi. Questa è la promessa solenne di Dio.
Alleluia.


Vorrei concludere dando la parola direttamente a Dio. Leggiamo insieme il Salmo 23

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